Il prezzo del petrolio ha raggiunto i minimi storici da quattro anni a questa parte. Sono numerosi i Paesi membri dell’organizzazione che, per far si che le quotazioni crescano, sarebbero favorevoli a un taglio.
L’organizzazione dei paesi produttori di petrolio ha l’intenzione di mantenere invariato lo status quo lasciando intatto a 30 milioni di barili il tetto giornaliero di produzione del petrolio: un limite ufficiale fissato tre anni fa. La spaccatura nell’Opec, però, è sempre più evidente.
Fino a pochi giorni fa anche Paesi ritenuti tradizionalmente “falchi” come l’Iran sembravano escludere un taglio della produzione in replica al tracollo dei prezzi sui mercati internazionali, diminuiti del 30% negli ultimi sei mesi, una flessione che mette a rischio i piani di bilancio di numerosi paesi produttori.
Sono dunque cresciute le pressioni per un giro di vite che riporti in alto le quotazioni da parte di membri come l’Ecuador, la Libia e, soprattutto, il Venezuela, che sta attraversando un periodo drammatico dal punto di vista economico.
E proprio il ministro degli Esteri di Caracas, Rafael Ramirez, ha oggi incontrato a Teheran il ministro del petrolio iraniano Zanganeh, che ha condiviso la preoccupazione di Ramirez per l’attuale congiuntura petrolifera.
Sicuramente quello del 27 novembre prossimo si preannuncia come uno degli più combattuti della storia recente dell’Opec, almeno da quel tavolo del giugno 2011 che vide il cartello spaccarsi a metà, con i “falchi” (tra i quali proprio Iran e Venezuela) che riuscirono a far saltare il piano saudita di un incremento della produzione che offrisse respiro agli acquirenti. La congiuntura dell’epoca era infatti agli antipodi, con quotazioni ben superiori ai 100 dollari al barile.
Oggi, invece, i prezzi si aggirano intorno a quota 75 dollari e non sembrano ancora aver toccato il fondo.