Il divieto di short selling, ricordiamo, fu imposto a causa della terribile ondata di vendite che lo scorso luglio colpì la maggior parte dei titoli quotati a Piazza Affari, soprattutto quelli del settore bancario, che furono protagonisti di clamorosi crolli anche per via dell’impennata registrata dallo spread BTP-Bund.
Le vendite allo scoperto, infatti, sono considerate dalla maggior parte degli esperti tra le principali cause dei crolli che si registrano in Borsa, anche se non manca chi non supporta questa tesi sostenendo, al contrario, che l’eliminazione di questa pratica non sortisce alcun effetto nel lungo periodo, al massimo si registrano miglioramenti solo nel brevissimo periodo, pertanto a loro avviso questo tipo di divieto ha un effetto più simbolico che reale.
Le vendite allo scoperto, ricordiamo, consistono in un particolare meccanismo in base al quale l’investitore chiede in prestito un titolo per rivenderlo, impegnandosi poi a riacquistarlo e a restituirlo entro un termine prestabilito. Il guadagno si realizza nel caso in cui il valore del titolo cala, in quanto in tal caso l’investitore intasca un profitto pari alla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto, al netto degli interessi e delle commissioni da corrispondere rispettivamente a colui che ha effettuato il prestito e al broker che ha svolto la funzione di intermediario.