Russia, Venezuela e Colombia sono i Paesi maggiormente in difficoltà per quanto riguarda il crollo delle quotazioni petrolifere e del deprezzamento delle materie prime.
La Russia vanta una forte dipendenza dell’export di greggio che pesa per oltre il 10% del prodotto interno lordo. Naturalmente, a Mosca la situazione è molto più complicata per via del crollo del rublo conseguente alle tensioni geo-politiche degli ultimi tempi.
Spostandoci in Sud America, Venezuela e Colombia sono i principali esportatori netti di petrolio e dunque risultano essere gli Stati più colpiti dal ribasso delle quotazioni. Più articolata la situazione del Brasile. Il Paese rimane per ora un importatore netto di petrolio.
Soltanto nei prossimi anni, grazie agli investimenti nell’offshore, dovrebbe invertire la sua posizione. Il Brasile è tuttavia un grande esportatore di commodities agricole e di ferro che, al pari di tutte le materie prime, tendono a essere correlate positivamente con i valori del petrolio.
Il Messico appare invece in una posizione migliore essendo il solo Paese dell’area in cui la manifattura ha la priorità sulle produzioni di energia.
I valori del petrolio da attendersi per il 2015 saranno ancora guidati dall’offerta e non dalla domanda. Per tale ragione, le quotazioni rimarranno contenute ancora per qualche anno. Secondo SocGen, il prezzo medio del petrolio americano West Texas Intermediate (Wti) quotato al Nymex, si situerà intorno agli 82 dollari al barile durante il prossimo anno e, in assenza di fattori contingenti, rallenterà nello scenario di base fino ad attestarsi a sessantanove dollari al barile nel 2019.
Per quanto riguarda il Brent, il petrolio di riferimento quotato sull’Ice si aggirerà sui 90 dollari al barile in termini di prezzo medio nello scenario base.