Nel periodo intercorso tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno di quest’anno, si è verificato un significativo decremento del prezzo del petrolio sui mercati globali: il prezzo al barile è calato sotto i 90 dollari. Un generico decremento del prezzo tra l’estate e l’inverno è piuttosto usuale.
Ma gli indici rilevati tra settembre e ottobre riflettono un andamento ‘strano’, soprattutto se si tiene in coniderazione anche che la situazione politica del Medio Oriente. Parliamo dell’area mondiale avente le più grandi riserve di greggio. Essa continua a essere molto grave e instabile. Durante le ultime settimane, ad esempio, si è parlato molto delle conquiste di alcuni giacimenti petroliferi iracheni da parte dello Stato Islamico. Anche altri produttori di petrolio stanno affrontando diverse difficoltà: la Libia, la Nigeria, la Russia e la Siria.
Tra le ragioni della discesa dei prezzi al barile vi è l’incremento della produzione mondiale del petrolio. Così gli esperti:
Se aumenta la produzione c’è più offerta, e quindi il prezzo cala, determinato soprattutto da un aumento di produzione negli Stati Uniti. Grazie all’estrazione di petrolio da sabbie bituminose in North Dakota e Texas, la produzione statunitense di petrolio è salita a 8,5 milioni di barili al giorno, il più alto livello mai registrato dal 1986. Se si considerano anche i combustibili liquidi derivati dal petrolio, scrive il Washington Post, la produzione americana è quasi al livello di quella dell’Arabia Saudita. Allo stesso tempo sta aumentando anche la produzione del petrolio in Russia, dove si stanno raggiungendo gli alti livelli registrati nel 1987 (11,48 milioni di barili al giorno). Infine negli ultimi 14 mesi è cresciuta anche la produzione di petrolio in Libia, che era crollata a causa della guerra civile del 2011.