Il rialzo dei tassi di interesse negli Usa, il primo dopo ben dieci anni, potrebbe avere un impatto molto negativo sulle valute dei mercati emergenti, che hanno già sofferto tantissimo negli ultimi 2-3 anni proprio in vista della stretta monetaria della FED.
Le valute che hanno avuto maggiori problemi sono state quelle asiatiche e sudamericane: le prime hanno dovuto far fronte alla frenata economica della Cina e alla svalutazione dello yuan; le seconde hanno risentito della crisi economica “regionale”, provocata principalmente dalla caduta dei prezzi delle materie prime.
Secondo uno studio di Fitch, l’incremento del costo del denaro negli Stati Uniti (che quasi certamente proseguirà nel corso del 2016) dovrebbe far peggiorare ulteriormente le condizioni di credito dei mercati emergenti. Tra l’altro, in base a una recente stima della Bis, ad oggi il debito delle imprese dei mercati emergenti contratto in valuta estera ammonterebbe a 3.800 miliardi di dollari. Ciò vuol dire che, se il biglietto verde dovesse continuare a rafforzarsi nei prossimi mesi, molti paesi emergenti rischierebbero di non riuscire più a far fronte ai propri impegni con i creditori.
Alcuni paesi presentano una capacità di pagare i debiti in moneta estera più bassa rispetto ad altri. I rating creditizi sono generalmente “junk” (come Brasile e Argentina) o su livelli appena sopra la soglia “spazzatura”. Le valute asiatiche sono quelle che preoccupano meno, sebbene alcune siano potenzialmente a rischio caduta senza freni nel caso in cui la crisi cinese (e la relativa svalutazione del renminbi) dovesse proseguire. Nel Far East asiatico si dovrebbe evitare di investire su monete come il won sudcoreano, il dollaro di Taiwan, la rupia indonesiana e il ringgit malese: troppo dipendenti dalla Cina e/o eccessivamente speculative.
In Sudamerica desta molta preoccupazione la situazione economica del Brasile, che resterà in recessione nel 2016.