Da alcuni anni ormai esiste una forte correlazione inversa tra l’andamento dei mercati azionari e quello dello yen giapponese. La valuta nipponica è considerata, insieme al franco svizzero, al dollaro americano e alle valute dei paesi scandinavi, una valuta rifugio sui mercati internazionali. Quando c’è panico tra gli investitori quasi sempre si assiste a un rally dello yen, in quanto si va alla ricerca immediata di un porto sicuro. In realtà c’è anche un’altra motivazione alla base dei forti apprezzamenti della valuta nipponica in fasi di forte turbolenza dei mercati finanziari.
Si tratta del ritorno dei carry trade, che interessano proprio lo yen. Come avvenne già prima dello scoppio della crisi finanziaria del 2007-2008, gli investitori sono tornati a indebitarsi in yen, grazie ai tassi intorno allo zero e praticamente stabili da anni. Il rischio sembra piuttosto basso e sotto controllo, considerando che la politica monetaria della Banca del Giappone può considerarsi ultra-espansiva.
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Negli ultimi tempi, i carry trade sullo yen non vengono più effettuati per indirizzarsi verso valute ad alto rendimento (come il dollaro australiano o neozelandese) bensì verso asset denominati in dollari americani (quindi anche bond e azioni a stelle e strisce). Qualche giorno fa Crédit Agricole ha consigliato ai propri clienti di finanziarsi in yen e di comprare dollari. Questo carry trade va avanti ormai da metà novembre scorso e non a caso la quotazione del cambio dollaro/yen è passata da 80 a 96.
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La correlazione tra yen e indice S&P500 si sta facendo sempre più stretta, tanto che negli ultimi giorni l’indice di correlazione è salito a 0,93 (quasi al livello pieno di 1). Se gli investitori dovessero smontare bruscamente le loro posizioni in carry trade, spaventati dalla crisi europea e dal fatto che gli indici americani sono su livelli record, è molto probabile un crollo generalizzato delle borse. I carry trade sullo yen sono così una vera e propria bussola per i mercati finanziari odierni.