Gli investitori professionisti conosceranno certamente l’indicatore Vix, il cosiddetto “indice della paura”. Forse meno il CVix, ovvero il Currency Vix, ideato da Deutsche Bank. Si tratta di un indice che misura la volatilità sul mercato forex, quindi l’eventuale nervosismo o iperattività degli operatori finanziari sul mercato dei cambi. Il principio al quale si ispira il nuovo “Cvix” è quello del Vix, l’indicatore che misura la volatilità delle opzioni dell’indice azionario americano S&P500. Quando il Vix inizia a salire, il nervosismo sui mercati azionari aumenta.
La stessa regola vale anche per il CVix, che è formato da un paniere di vari tassi di cambio dove il peso maggiore è quello di euro/dollaro (superiore al 35%) e dollaro/yen (oltre il 21%). Roberto Malnati, gestore di Global Opportunity Investments di Lugano, sottolinea che il CVix “è uno dei più importanti per capire l’evoluzione del rischio del mondo finanziario, visto che il valutario è il mercato più importante”.
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Malnati fa notare che “i cambi sono molto sensibili alle grandi crisi e la volatilità è un termometro significativo, anche perché il forex non può essere manipolato globalmente”. L’esperto mostra come la situazione attuale sia molto interessante per fare valutazioni utilizzando gli indici Vix e CVix. A Wall Street il Dow Jones è sui massimi di sempre con un Vix ai minimi dal 2007, mentre sui cambi la volatilità è in costante crescita.
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Malnati ritiene che ci sia “un disallineamento tra quello che il mercato è disposto a pagare per proteggersi sul mercato dei cambi rispetto a quello per proteggersi sull’azionario”. L’esperto ritiene che il rischio non è così basso come invece il Vix vuol far credere. Insomma, con borse record e cambi estremamente volatili la prudenza è d’obbligo.