La protesta che ha coinvolto Egitto, Libano, Marocco, Libia e Algeria ha permesso una discesa sostanziale della quotazione del grano che del giro di due settimane è riuscita a perdere ben 12 punti percentuali.
Gli investitori dall’inizio delle proteste in Egitto hanno preferito liquidare le proprie “scorte” per il timore che la domanda iniziasse a scendere, basti pensare che l’Egitto risulta essere il primo importatore a livello mondiale di grano duro.
Il grano viene prodotto principalmente in Canada, Stati Uniti e Argentina e questa è la motivazione principale della discesa del prezzo a differenza del petrolio che invece è ricco proprio nell’area interrasa dalle rivolte. Il petrolio quindi sale ed il grano scende, discorso tanto banale quanto significativo, così facendo però i costi dell’energia aumentano, mentre i costi per la materia prima legata all’alimentazione diminuisce, fermo restando che tutti i costi produzione, con il petrolio a così alti livelli potrebbero aumentare.
Nel corso di 2 settimane di proteste il prezzo del grano scambiato al Chicago Mercantile Exchange è passato da 890,15 dollari al bushel registrato lo scorso 9 febbraio a 789,40 dollari.