Non è qualcosa di cui si parla volentieri: in fin dei conti il fallimento di Lehman Brothers, nel 2008, ha rappresentato l’inizio di quella crisi economica mondiale che ancora continuiamo a pagare su tutti i livelli.
Nessuno è rimasto indenne da ciò che 10 anni fa successe: investitori, cittadini, banche. L’istituto crollò sotto il peso dei debiti, bruciando 691 miliardi di dollari circa e licenziando 25 mila dipendenti. Va sottolineato: molti rimasero stupiti quel giorno del 2008 in cui Lehman Brothers dichiarò bancarotta dopo più di un secolo di vita. A Wall Street, il Dow Jones perse 500 punti e l’economia globale fu colpita in modo così forte che si colse al volo la tragica occasione per rivedere in buona parte il sistema bancario e la sua gestione.
La Fed a suo tempo le provò tutte per salvare LB: tentò di tutto, cercando di convincere sia Bank of America che Barclays a dare una mano. Tentativo vano soprattutto dopo il rifiuto di intervenire anche da parte del ministero del tesoro americano più interessato a salvare altri istituti rispetto a quello che avrebbe davvero potuto fare la differenza: la verità è, come poi spiegò anche Henry Paulson, segretario del Tesoro di Bush ai tempi di inizio della crisi, che nessuno si volle assumere un rischio così grande.
Ed ora? I problemi rimangono, ma l’esperienza ha insegnato ad essere più cauti ed a mettere dei paletti a monte rimanendo attenti. Le banche, come ha sottolineato recentemente il presidente della BCE Mario Draghi sono più forti, ma questo non significa che i pericoli siano passati.