Ormai dal 2008 i tassi sono bassi. Per l’esattezza, un loro rialzo manca addirittura dal 2006. Ma la Fed non lascerà ancora per molto invariato il costo del denaro.
Il comunicato di Washington non ha più fatto riferimento ai rischi globali, legati al rallentamento dei mercati emergenti, e le probabilità di un’azione nella riunione di metà dicembre sono schizzate dal 32 al 48%, stando ai future sui Fed Funds che misurano le chances di variazione della politica monetaria.
Gli analisti tornano quindi a guardare all’economia americana e registrano la crescita dell’1,5% del Pil – le attese erano per un +1,6% – nel terzo trimestre, mentre le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono cresciute di mille unità a quota 260mila. Nel secondo trimestre, gli Usa erano cresciuti del 3,9%: secondo gli analisti il rallentamento dell’economia a stelle e strisce è dovuto alla forza del dollaro, che pesa sulle esportazioni, e al fatto che le aziende hanno aumentato le scorte ad un ritmo più lento. I consumi invece hanno tenuto, registrando nel trimestre una crescita del 3,2% contro previsioni di un +3,3%. Proprio i consumi, spiegano gli economisti, dovrebbero sostenere la crescita americana nei prossimi mesi. Wall Street tratta debole: quando in Europa si avvicina la chiusura dei mercati, il Dow Jones cede lo 0,2% come il Nasdaq, mentre l’S&P perde lo 0,1%.
E così, mentre la Banca centrale Usa si appresta – seppur con tutte le cautele del caso – ad avviare un ciclo di politica monetaria in restringimento, dalla Bcegli operatori si attendono un ampliamento del Quantitative easing, sempre nel board di fine anno. Una divergenza che dovrebbe far rafforzare il dollaro, anche se l’euro a fine giornata si porta in lieve rialzo a 1,0966 dollari e 132,82 yen.
I listini asiatici hanno alleggerito i guadagni fin qui realizzati, in uno dei migliori mesi da anni a questa parte, mentre i listini europei trattano contrastati.Milano chiude in rosso dell’1,07%, Londra lo 0,9%, Francoforte lo 0,6% eParigi lo 0,7%.