Il sentiment di avversione per il rischio sta favorendo la messa a punto di strategie di investimento difensive. Il contesto di fly-to-quality non sta portando gli investitori a comprare solo Bund tedeschi o altri bond pubblici dell’Europa “core”, bensì anche i titoli di stato americani che stanno sperimentando un nuovo deciso calo dei rendimenti. Nonostante gli Stati Uniti siano usciti dal club della Tripla A da agosto 2011 (dopo il downgrade di S&P) e i ben noti problemi di bilancio pubblico, i T-Bond USA restano un bene rifugio.
Dopo aver toccato nei primi giorni di marzo il rendimento più alto da inizio anno al 2,07%, i tassi sui T-Note a 10 anni sono tornati a scendere fino all’1,84%. Si tratta di un valore al di sotto del livello medio di questo primo scorcio d’anno che, secondo quanto risulta dalla banca dati di S&P Capital Iq, si attesta intorno all’1,95%. La scorsa estate il rendimento dei T-Note decennali scese sui minimi storici all’1,43%.
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La costante riduzione dei tassi americani è dovuta alla politica monetaria ultra-espansiva della Federal Reserve, ma anche ai forti flussi in acquisto sugli asset denominati in valuta americana degli ultimi mesi. Nel primo trimestre del 2013 gli acquisti esteri sono cresciuti di 3mila miliardi di dollari. E’ molto forte la domanda della Cina, che tra ottobre e gennaio ha aumentato l’esposizione di 111 miliardi circa.
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Dopo questa recente mossa la Banca Centrale di Pechino ha un’esposizione di 1,26 trilioni di dollari verso asset a stelle e strisce. In precedenza la Cina stava diversificando in altre divise estere, soprattutto in yen. Tuttavia, la recente strategia ultra-accomodante della Bank of Japan – che ha decretato una netta svalutazione dello yen – ha spinto Pechino a guardare nuovamente con interesse ai bond americani.